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Gelido inferno (V)

Andai a dormire irrequieto, non riuscivo ad addormentarmi, perciò dopo essermi girato duecento volte nel letto decisi di alzarmi a fare un giro per la base. Le luci in corridoio erano spente, ma i led che indicavano le porte delle stanze occupate o libere luccicavano come le luci dei semafori lontani sulla strada di notte. Il pavimento era freddo sotto i miei piedi nudi, un pizzicore dolce su ogni poro della mia pelle. Camminai in silenzio, verso la sala comune. Voltai lo sguardo verso la spaziosa finestra che si affacciava verso Sud e assistetti ad una scena irripetibile: un'aurora australe. Il verde e il rosso danzavano in mezzo alla volta stellata, in un abbraccio infinito e indissolubile. Veli di luce colorata si susseguivano, inondando le nevi di colori stupefacenti. Non pensai di fotografarla, volevo cogliere ogni singolo dettaglio per memorizzarlo. Rimasi rapito da tanta bellezza, che mi misi a sedere su un divanetto per ammirarla. Credo che non si possa descrivere a parola la meraviglia che provai in quegli istanti, sarebbe troppo riduttivo.
Quando anche l'ultima luce si dissolse nel cielo, tornai a dormire conservando quel piccolo segreto per me. Prima di addormentarmi mi resi conto che l'aurora proveniva esattamente dalla direzione dove avevamo trovato la buca poche ore prima. Non poteva essere una coincidenza, ma prima che potessi fare altre congetture il sonno ebbe la meglio.



Il mattino dopo l'umore alla base era teso. L'ansia poteva essere tagliata con un coltello. Nessuno apriva bocca, nessuno alzava più di tanto lo sguardo dalla propria tazza di caffè o tè, avevamo quasi paura di respirare. Ci preparammo con una calma surreale, come fossimo diretti ad un funerale. O al patibolo.
Quando venne il momento di spegnere le luci della base, mi voltai verso il corridoio illuminato dalle tenui luci dei led e mi sentii attraversare da un profondo brivido. Non mi sentivo per niente al sicuro nel lasciare incustodita la base e andare a esplorare quella nera voragine. Rimpiango di non aver ascoltato il mio istinto e aver fatto prevalere la mia mente razionale. Accidenti a me, se non l'avessi fatto!
Guidai di nuovo io la jeep, perché, non so come, mi ricordavo a memoria più o meno tutta la strada per arrivare al cratere. Incontrammo molti gruppi di pinguini sulla strada, tutti si muovevano o in direzione del mare o in direzione opposta a noi. Parevano fuggire più lontano possibile. Se quel luogo spaventava persino gli animali, perché avremmo dovuto ignorare quel sentimento? Purtroppo, o per fortuna, l'uomo è un animale curioso per natura e perciò accelerai seguendo la mia sete di conoscenza.

Arrivammo in vista della destinazione e sentii Alex, seduto nel posto del passeggero di fianco a me, trattenere il respiro e mormorare qualcosa sottovoce.
"Ma è immenso." Commentò Elizabeth.
Scendemmo con le braccia piene di strumenti portatili per analizzare tutto ciò che si poteva analizzare. Thomas aveva un drone di ultima generazione, che posò per terra e iniziò a comandare con un telecomando pieno di tasti e levette. Il drone iniziò a ronzare e si alzò rapidamente fino a due metri d'altezza. Noi lo seguivamo con lo sguardo, speranzosi di vedere qualcosa dell'interno della voragine. Thomas fece muovere il drone più vicino al bordo e incontrò subito delle difficoltà a causa del vento; noi circondammo il nostro collega per vedere cosa il suo drone stesse riprendendo.
"Riesci a farlo volare?" Chiesi.
"Per ora sì, ma il vento diventa più forte più mi avvicino."
"E provare ad alzarlo di quota?"
"Provo, spero solo di non perdere il segnale."
Riuscì a spostare il drone oltre il bordo frastagliato della grande macchia nera e tutti tirammo un sospiro di sollievo. La telecamera aveva una visuale oscillante a causa del vento, ma ciò che inquadrò andava oltre ogni possibile aspettativa. L'interno era tutto nero, illuminato solo da una luce rossa accesa proveniente da una montagna nera che si stava lentamente sollevando. La terra all'improvviso tremò esattamente come era successo il giorno prima e Thomas perse il controllo del piccolo velivolo, che precipitò in caduta libera verso l'inferno nero.
"Cazzo!" Imprecò Thomas scaraventando per terra il telecomando.
"Cos'è quella roba che sta salendo?" chiese Sandy, lanciando un'occhiata preoccupata a Thomas che si stava avvicinando al bordo per cercare di vedere dove fosse finito il drone.
"Non lo so, Sandy, ma lo voglio scoprire." Le risposi, seguendo Thomas.
Ero deciso ad affrontare il vento impetuoso e affacciarmi nello strapiombo.

Camminai pestando bene i piedi mentre la terra ebbe un'altra scossa che mi fece accucciare.
Ormai era chiaro che i terremoti erano causati dalla cosa che stava emergendo dalla fossa. E io volevo sapere cosa diavolo fosse.
Appena le vibrazioni si esaurirono, ripresi a camminare verso Thomas.
"Si riesce ad avvicinarsi! C'è meno vento di ieri!" Gridai alla trasmittente per sovrastare l'ululato del vento.
Gli altri ci raggiunsero poco dopo, mentre io e Thomas ci stavamo sporgendo con cautela.
Ero aggrappato con tutte le mie forze ai bordi consumati, avevo una paura terribile di sprofondare dentro. Mi sporsi lentamente, allo stesso modo in cui guardavo fuori dalla finestra dei grattacieli da bambino. Non sapevo cosa aspettarmi. Le pareti interne erano nere come carbone, assomigliava alla bocca di un vulcano. La luce rossa era sempre più intensa e si stava avvicinando alla superficie minacciosa. La terra tremò ancora ed ebbi seriamente paura di cadere dentro alla voragine. Osservarlo mi faceva sentire impotente, anni e anni di studi e di ricerche non mi erano serviti a nulla davanti all'ignoto.
"Ma cos'è quella cosa? Non capisco!" Elizabeth era abbastanza disperata, come tutti noi del resto.
Fu Alex ad avere un'idea produttiva. "Aspettiamo che la cosa salga del tutto. Così capiremo cos'è."

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