Ho visto un luogo, lontano dagli occhi indiscreti dell’uomo, in cui le fronde degli alberi secolari oscurano la luce del sole e celano segreti che la Terra conserva da secoli e millenni.
In molti hanno
provato a rivelarli, ma nessuno è mai riuscito a tornare indietro dall’abisso
oscuro che si nasconde dietro al verde delle foglie.
Nei giorni ventosi
si possono udire sussurri, sibili, parole segrete narrate in una lingua sconosciuta.
Quando piove, il ritmico ticchettio delle gocce sulle foglie pare un messaggio
codificato in Morse. E, invece, quando il sole illumina il cielo, il silenzio
permea ogni angolo.
Ho trovato questo
luogo durante uno dei miei innumerevoli vagabondaggi per trarre ispirazione per
i miei scritti. La natura ha sempre avuto la capacità di stimolare le zone più
incognite del mio inconscio e stuzzicare la mia immaginazione più di ogni altra
cosa al mondo. I suoni del vento, delle foglie in movimento, i versi degli
animali, possono farmi immaginare mondi perduti, reami lontani mai contemplati
da coloro che non sanno fantasticare abbastanza in grande. Amo vedere come i
colori si trasformano durante l’arco della giornata: dalla lucentezza del verde
brillate fino al nero della notte.
Quel luogo mi ha
ipnotizzata fin da subito. Di tanti posti che nella mia vita ho esplorato,
nessuno mi aveva incantata così al primo sguardo.
Un corridoio di alti cipressi, affiancati come colonne di un tempo greco, accompagna lo spettatore fino all’imbocco della foresta, che da lontano sembra contenuta nelle dimensioni, ma che in realtà si estende per chilometri. Entrando, un arco naturale sancisce l’ingresso al surreale mondo parallelo. Non ci sono fiori, l’unico colore che invade il campo visivo è il verde. All’interno delle volte naturali, un intreccio di sentieri sconosciuti, alcuni mai percorsi da piedi umani.
Un corridoio di alti cipressi, affiancati come colonne di un tempo greco, accompagna lo spettatore fino all’imbocco della foresta, che da lontano sembra contenuta nelle dimensioni, ma che in realtà si estende per chilometri. Entrando, un arco naturale sancisce l’ingresso al surreale mondo parallelo. Non ci sono fiori, l’unico colore che invade il campo visivo è il verde. All’interno delle volte naturali, un intreccio di sentieri sconosciuti, alcuni mai percorsi da piedi umani.
Non sono in grado
di descrivere le sensazioni provate alla vista di uno spettacolo tale da
mozzare il respiro in gola. Il camminare in mezzo alla simmetria dei cipressi e
il seguente aprirsi in una vastità di spazio immensa non possono essere
trattati a parole, non posso fare abbastanza per rendere la meraviglia.
La prima volta che
lo vidi, non entrai. Mi limitai ad ammirare il paesaggio. Le nuvole nere, come
un presagio di malasorte, correvano nel cielo, minacciose. Dovetti contenere il
desiderio di entrare e promisi agli alberi che sarei tornata il giorno
seguente.
Non parlai a
nessuno di quella scoperta sensazionale ai miei occhi. Trovavo che ciò fosse un
privilegio da non condividere con altri. Volevo che la foresta fosse tutta per
me. Nessun altro avrebbe dovuto immischiarsi nella mia contemplazione.
In realtà mi parve
abbastanza strano che nessuno nel paese vicino me ne avesse parlato, di certo
non era un luogo che passasse inosservato, almeno non a chi tiene gli occhi
aperti al mondo esterno e non si estranea, ignorando completamente ciò che lo
circonda. Nessuno aveva accennato alla foresta, anche se mi ero dichiarata come
un’amante della natura incontaminata e selvaggia. Pensai che fosse meglio così,
nessuno mi avrebbe infastidita durante la futura esplorazione del bosco.
Quella notte stessa
feci un sogno strano e la cosa mi sorprese non poco perché erano anni e anni che
non sognavo così vividamente.
Ero sospesa tra le nuvole bianche, immersa nel cielo sconfinato, e osservavo il suolo dall’alto. Tutto, lì sotto, bruciava. Vampate di fuoco divoravano il terreno, si lanciavano verso l’alto sinuosamente, come se danzassero, lucenti e letali. Sentivo l’odore acre del fumo, il puzzo di legna marcia bruciata mi riempiva i polmoni e iniziai a tossire convulsamente. La cenere si stava innalzando e mi lambiva i piedi nudi, rendendoli neri.
Ero sospesa tra le nuvole bianche, immersa nel cielo sconfinato, e osservavo il suolo dall’alto. Tutto, lì sotto, bruciava. Vampate di fuoco divoravano il terreno, si lanciavano verso l’alto sinuosamente, come se danzassero, lucenti e letali. Sentivo l’odore acre del fumo, il puzzo di legna marcia bruciata mi riempiva i polmoni e iniziai a tossire convulsamente. La cenere si stava innalzando e mi lambiva i piedi nudi, rendendoli neri.
Mi svegliai in un
bagno di sudore, gli occhi mi lacrimavano e ancora tossivo. Dovetti fare
parecchi respiri profondi prima che riuscissi a calmarmi e a capire che era
stato solamente un incubo. Diedi la colpa alla cattiva digestione, spesso mi
capitava in viaggio, e cercai di scacciare il pensiero per non rovinarmi la
giornata.
Ma quando scostai
le coperte per alzarmi e andare in bagno, vidi che i miei piedi erano neri.
Soffocai un grido e
mi portai di scatto le mani alla bocca. Com’era possibile? I sogni sono solo
frutto della nostra psiche, non potevano assolutamente avere ripercussioni del
genere nella realtà. Ma allora quella polvere nera, quella cenere, da dove
veniva? In quale modo ero riuscita a sporcarmi i piedi? Forse ero improvvisamente
diventa sonnambula e avevo iniziato ad aggirarmi per l’ostello a piedi nudi? O
forse mi era successo qualcosa di peggiore?
Nessuna di queste
domande trovò risposta.
Poco dopo scesi
nella sala ristorante per fare colazione.
Il cameriere, un giovane molto cordiale che aveva sempre il sorriso in volto, mi accolse porgendomi il menù del giorno. “Buongiorno signora, ha dormito bene?”
“In realtà, non molto. Ho avuto un incubo, purtroppo. Ma probabilmente ho mangiato troppo ieri sera a cena e perciò non ho digerito bene.”
“Mi dispiace molto, signora, ora sta meglio?”
“Certo, molto gentile a chiederlo.”
“È mio dovere, signora, nonché un piacere. Che cosa le posso portare per colazione?”
“Un caffè doppio e la crostata con i mirtilli.”
“Ottima scelta, arrivano subito.”
Il cameriere, un giovane molto cordiale che aveva sempre il sorriso in volto, mi accolse porgendomi il menù del giorno. “Buongiorno signora, ha dormito bene?”
“In realtà, non molto. Ho avuto un incubo, purtroppo. Ma probabilmente ho mangiato troppo ieri sera a cena e perciò non ho digerito bene.”
“Mi dispiace molto, signora, ora sta meglio?”
“Certo, molto gentile a chiederlo.”
“È mio dovere, signora, nonché un piacere. Che cosa le posso portare per colazione?”
“Un caffè doppio e la crostata con i mirtilli.”
“Ottima scelta, arrivano subito.”
Mentre aspettavo la
colazione, continuai a rimuginare sul sogno.
Non riuscivo a dare una spiegazione logica a ciò che avevo vissuto quella mattina e la cosa mi disturbava non poco. Tutto ha una spiegazione a questo mondo, qualsiasi cosa, perciò anche quella polvere nera doveva poter spiegarsi in qualche modo. Decisi di chiedere al cameriere.
“Scusi, vorrei farle una domanda. Non si spaventi, è una mia curiosità.” Dissi al cameriere appena arrivò a servirmi.
“Ma certo, signora. Chieda pure.”
“Per caso avete da qualche parte un deposito di cenere, qui?”
“Non saprei, signora. Credo di no.”
“Peccato. Grazie comunque.”
“Posso chiederle come mai lo vuole sapere?”
“Beh, stamattina mi sono svegliata con i piedi sporchi di polvere nera, forse cenere, e vorrei capire se ho iniziato ad avere problemi di sonnambulismo o se semplicemente sto diventando pazza.”
“È una storia singolare, signora. Magari si è sporcata con qualcos’altro.”
“Potrebbe avere ragione lei, ora che me lo fa notare. Grazie ancora.”
“Non c’è di che.”
Non riuscivo a dare una spiegazione logica a ciò che avevo vissuto quella mattina e la cosa mi disturbava non poco. Tutto ha una spiegazione a questo mondo, qualsiasi cosa, perciò anche quella polvere nera doveva poter spiegarsi in qualche modo. Decisi di chiedere al cameriere.
“Scusi, vorrei farle una domanda. Non si spaventi, è una mia curiosità.” Dissi al cameriere appena arrivò a servirmi.
“Ma certo, signora. Chieda pure.”
“Per caso avete da qualche parte un deposito di cenere, qui?”
“Non saprei, signora. Credo di no.”
“Peccato. Grazie comunque.”
“Posso chiederle come mai lo vuole sapere?”
“Beh, stamattina mi sono svegliata con i piedi sporchi di polvere nera, forse cenere, e vorrei capire se ho iniziato ad avere problemi di sonnambulismo o se semplicemente sto diventando pazza.”
“È una storia singolare, signora. Magari si è sporcata con qualcos’altro.”
“Potrebbe avere ragione lei, ora che me lo fa notare. Grazie ancora.”
“Non c’è di che.”
Parlare con il
cameriere mi rassicurò parecchio, probabilmente aveva ragione lui e io mi ero
fatta solamente delle paranoie inutili a causa dell’incubo. Nonostante mi fossi
rasserenata, non mi piaceva molto l’idea di aver iniziato a soffrire di
sonnambulismo e valutai l’idea di legarmi al letto durante la notte per
costringermi a non uscire dalla stanza.
Prima di iniziare
l’esplorazione del bosco, ero davvero impaziente, passai nella farmacia più
vicina per acquistare dei sonniferi. Una precauzione in più non mi avrebbe di
certo fatto male.
Uscita dalla farmacia,
mi fermai dal fornaio per comprare qualcosa per il pranzo, visto che avevo
intenzione di restare nel bosco fino a prima di cena. Poi fui pronta ad andare.
Non stavo più nella pelle.
Raggiunsi a piedi
il margine del paese, la giornata era soleggiata e non c’era ombra di nuvole in
cielo. Le persone mi sorridevano, vedendo quanto fossi entusiasta, e io
ricambiavo con un saluto. Non so spiegare il perché di così tanta felicità, mi
sentivo mille volte più felice di qualsiasi altra volta in cui avevo esplorato
un luogo nuovo, era come se fossi sotto effetto di droghe eccitanti. Non
pensavo ad altro che la foresta, la mia mente era concentrata solo su quello.
Mi attirava come una potente calamita e presto mi ritrovai da camminare con un
passo svelto, fin quasi a correre.
Arrivata al corridoio di cipressi, mi fermai. Avevo il fiatone
e le gambe mi tremavano; avevo sempre odiato correre, nonostante ciò non avevo
esitato un istante a farlo per raggiungere la foresta. Ero decisamente sorpresa
da me stessa.
Lì attorno non c’era anima viva, ero completamente sola. Era, sì, un po’ inquietante, ma non mi importava nulla. Anzi, il brivido aggiunse un qualcosa in più all’esperienza.
Lì attorno non c’era anima viva, ero completamente sola. Era, sì, un po’ inquietante, ma non mi importava nulla. Anzi, il brivido aggiunse un qualcosa in più all’esperienza.
Per prima cosa, scattai una marea di fotografie del paesaggio.
Avevo comprato tre rullini nuovi per essere sicura di avere abbastanza
tentativi di ottenere la fotografia perfetta da appendere alla parete del mio salotto.
Tutti i colori si incontravano con delicatezza, il verde scuro delle fronde
degli alberi compensava il chiarore del cielo azzurro, così distante dal grigio
del giorno precedente. Una brezza lieve spirava, facendo muovere le cime dei
cipressi e scompigliandomi i capelli. Respirai a fondo gli odori della natura e
sorrisi.
Era giunta ora di varcare la soglia di quel mondo magico.
Camminai in silenzio attraverso le colonne naturali, come se
fossi in pellegrinaggio verso un luogo sacro. Effettivamente, l’atmosfera che
mi circondava aveva un che di sacro o mistico.
Arrivata all’arco, mi fermai un istante e mi voltai indietro
per osservare il paesaggio da un’altra prospettiva. Gli edifici del paese si
intravedevano alla fine del viale alberato e sembravano così distanti, anche se
non mi sembrava di aver fatto molta strada per arrivare lì. Mi stupì ancora il
fatto che non ci fosse nessuno, nemmeno nei dintorni dell’inizio del
camminamento tra i cipressi, ma ancora una volta mi dissi che si trattasse
solamente di un vantaggio, per me.
Mi girai di nuovo e mossi alcuni passi oltre l’arco.
Sentii come un sussurro, una voce che cantilenava il mio nome
in una continua litania, e decisi di seguirlo, perciò camminai in avanti e mi
addentrai, finalmente, nella foresta.
Il modo si fece improvvisamente più buio.
Le cime degli alberi si intrecciavano a decine di metri di
altezza sopra la mia testa e schermavano la luce del sole, facendo filtrare
solo qualche raggio pallido. Davanti a me si estendevano ettari ed ettari di
terra incontaminata dal passaggio dell’uomo, che avevo timore ad esplorare,
anche se non vedevo l’ora di camminare per i svariati sentieri.
Raccolsi dei rami caduti per poi piantarli affiancati lungo il
sentiero, in modo da riuscire a distinguere quale strada avessi percorso e
riuscire così a tornare indietro.
Terminato il lavoro, mi feci coraggio e andai avanti lungo il
sentiero che avevo davanti.
Non udivo nessun rumore, se non il mio respiro e i rami che si
spezzavano sotto i miei piedi. Nessun canto di uccelli, nessun rumore tra i
cespugli, niente. Eravamo solo io e la natura, fianco a fianco.
Persi la cognizione del tempo dopo poco e non guardai nemmeno
una volta l’orologio che avevo al polso. Ovviamente, non potevo dedurre l’ora
grazie alla luce o alla posizione del sole, perché sotto le fronde di quegli
alberi secolari tutto era uguale. Il tempo sembrava non scorrere mai e la luce
era sempre la stessa, in ogni momento.
Continuavo a piantare i rami nei bivi, meccanicamente, almeno non mi dimenticai anche di quello.
Continuavo a piantare i rami nei bivi, meccanicamente, almeno non mi dimenticai anche di quello.
Mi fermai per un momento a mangiare, ma mi accorsi di non
avere molta fame, quindi diedi un solo morso al panino e poi lo riporsi nella
borsa. Non avevo nemmeno sete.
Passeggiare in libertà era davvero meraviglioso.
Ero rapita da ogni singola cosa che mi circondava: gli alberi,
i cespugli, i rari uccellini che popolavano i rami alti degli alberi, il
sottobosco, tutto quanto. Gli odori erano gli stessi che potevo sentire nel
bosco dietro casa mia e ciò mi fece sprizzare il cuore di felicità, anche se
provai un po’ di nostalgia di casa. Mi fermai in un angolo più illuminato, per
cercare di scrivere quello che stavo provando in quel momento, ma non ci
riuscii. Le parole, che tanto facilmente uscivano quando ero immersa nella
natura, in quel momento erano bloccate. Diedi la colpa alle troppe emozioni che
provavo in quel momento e mi infilai il quadernino in tasca, con l’augurio di
poter riprovare più tardi.
Ad un certo punto, cominciai ad avvertire un leggero male ai
piedi, quindi decisi di tornare sui miei passi.
Ma non trovai nessun paletto al bivio precedente.
Eppure, ero certa, completamente certa, di averlo piantato. Non
potevo essermi dimenticata.
Il panico mi assalì come un’onda di maremoto. Come avrei fatto
a uscire da lì senza uno straccio di cartina o segnale? Non avevo nemmeno la
possibilità di chiamare aiuto, perché oltre a me c’erano solo animali ed ero
troppo lontana dalle prime case abitate. Cominciai a rimpiangere la scelta di
entrare nella foresta completamente sola e senza aver avvisato nessuno, tanto
che gli occhi mi si riempirono di lacrime per la disperazione.
Piansi tutte le lacrime che potei, china vicino ad un
cespuglio.
Quando gli occhi si rifiutarono di bagnarsi ancora, non so
come, trovai il coraggio di rialzarmi e pensare ad una soluzione. Il bivio che
mi precedeva aveva solamente due strade tra cui scegliere, quindi scelsi di prenderne
una e sperare di aver fatto la scelta giusta. Al massimo, avrei continuato a
camminare circa lungo i sentieri senza troppe svolte e in qualche modo sarei
uscita. Avrei accettato di uscire anche da un’altra parte rispetto a dove ero
entrata, mi bastava uscire e sapere di avere una possibilità di sopravvivere.
Mi aggrappai con tutte le mie forze alla convinzione di aver
scelto la strada giusta, se avessi iniziato a pensare negativo probabilmente la
mia psiche sarebbe crollata sotto il peso del pensiero della morte imminente
per fame e sete. O peggio.
La luce che filtrava non era variata di intensità e ciò mi
fece sperare che fosse ancora giorno, là fuori.
Il miracolo avvenne.
Dopo tre bivi senza segnali, al quarto vidi uno dei paletti in
una delle strade tra cui scegliere e gridai per la gioia, facendo svolazzare
via un uccellino. Ero talmente sollevata che mi misi a correre lungo il
sentiero.
Per la seconda volta nella giornata, mi ritrovai a correre per
la felicità. Ero davvero incredula.
E poi arrivai.
Vedere l’arco d’entrata fu come raggiungere il Paradiso.
Non potevo credere ai miei occhi, pensavo fosse un’illusione,
ma era tutto vero! E meno male!
Uscii e la luce solare mi abbagliò per qualche istante.
Quando gli occhi si abituarono alla luce, mi sedetti sull’erba
e d’istinto aprii la borsa per divorare il panino che era avanzato. Avevo una
fame da lupi, come se fossero giorni che non mangiavo. Stessa cosa per l’acqua.
Inoltre, controllai l’orologio. Con mia enorme sorpresa, segnava solamente le due di pomeriggio: circa tre ore dopo il mio ingresso nella foresta incantata. Ero stata dentro per così poco tempo? Certo, ero sicura che non fosse buio, ma pensavo che fossero almeno le sei di pomeriggio. Solitamente, quando mi rilassavo in mezzo alla natura il tempo scorreva fin troppo veloce.
Inoltre, controllai l’orologio. Con mia enorme sorpresa, segnava solamente le due di pomeriggio: circa tre ore dopo il mio ingresso nella foresta incantata. Ero stata dentro per così poco tempo? Certo, ero sicura che non fosse buio, ma pensavo che fossero almeno le sei di pomeriggio. Solitamente, quando mi rilassavo in mezzo alla natura il tempo scorreva fin troppo veloce.
Lentamente, tornai verso il paese. Accusavo un forte male ai
polpacci, ipotizzai a causa dello sforzo della corsa, inusuale per me, e avevo
voglia di mettermi a letto prima di cenare.
Trovai molta gente in giro per strada, erano tutti come
agitati e cercai di capire perché.
Fermai una signora che aveva dei volantini in mano e le chiesi
cosa stesse succedendo.
“Ma come? Non ha sentito nulla in questi giorni?” mi domandò, incredula.
“No, veramente sono arrivata ieri qui…”
“Una turista è svanita nel nulla da tre giorni, non si è vista nell’ostello dove alloggiava e nessuno ha la minima idea di dove possa essere finita. È un problema se le lascio dei volantini da appendere? Un po’ di aiuto in più non farebbe male.”
Una turista si era dispersa e nessuno all’ostello mi aveva avvisata? Che strano…
“Ma certo.” Risposi e presi metà del plico di volantini.
La donna mi ringraziò con un sorriso e poi si allontanò per continuare il suo lavoro.
“Ma come? Non ha sentito nulla in questi giorni?” mi domandò, incredula.
“No, veramente sono arrivata ieri qui…”
“Una turista è svanita nel nulla da tre giorni, non si è vista nell’ostello dove alloggiava e nessuno ha la minima idea di dove possa essere finita. È un problema se le lascio dei volantini da appendere? Un po’ di aiuto in più non farebbe male.”
Una turista si era dispersa e nessuno all’ostello mi aveva avvisata? Che strano…
“Ma certo.” Risposi e presi metà del plico di volantini.
La donna mi ringraziò con un sorriso e poi si allontanò per continuare il suo lavoro.
Lessi il volantino per saperne di più su quella storia e
l’intera pila mi scivolò via dalle mani, spargendosi tutta attorno a me come le
foglie di un albero d’autunno.
Quei fogli parlavano di me.
La donna scomparsa ero io.
Mi sentii mancare e crollai sull’asfalto, l’ultima cosa che
udii erano le urla della signora con cui avevo parlato.
Mi risvegliai in un letto d’ospedale, con un’infermiera seduta
vicino a me.
“Dottore, la paziente è sveglia.” Comunicò ad un uomo alto dietro di lei.
L’uomo, che indossava un camice abbottonato fino in cima e aveva degli occhiali spessi, venne verso di me e mi osservò. “Come si sente?” mi domandò.
“Bene, credo. Cosa mi è successo?”
“È svenuta a causa di forte shock, fortunatamente una signora ha chiamato un’ambulanza e siamo riusciti a prelevarla dalla strada prima che qualcuno la travolgesse con un’auto, visto che la signora non era in grado di muoverla da lì.”
“Quei volantini… parlavano di me. Cosa mi è successo? Io sono stata solo nella foresta per tre ore, come ho fatto a scomparire per tre giorni?” ero sempre più confusa e loro lo notarono.
L’infermiera mi posò una mano sul braccio destro e mi disse “Stia calma, ora le spiegheremo tutto.”
“Signora, lei è uscita martedì attorno alle dieci dall’ostello e si è recata prima in farmacia per acquistare dei sonniferi e poi dal fornaio per acquistare un panino. Mi sbaglio?” mi chiese il dottore.
“Non si sbaglia, dottore. È andata così.”
“Bene. Dopo questi due acquisti, lei è sparita dalla circolazione. Alla sera non è stata vista a cena e nessuno si è allertato, hanno pensato che avesse deciso di mangiare in paese. Però, quando non è rientrata per la notte, il proprietario ha avvisato le autorità. La polizia si è messa sulle sue tracce, ma non sono riusciti a capire dove potesse essere. È stato ipotizzato un omicidio o un rapimento e, fino al suo improvviso ritorno di questo pomeriggio, era l’ipotesi più accreditata.”
“Io sono stata nella foresta, niente di più. Ma è impossibile che ci si stata per tre giorni.”
“Quale foresta, signora? Non c’è nessuna foresta nei dintorni.”
“Come no? E quella oltre le casette gialle? Quella non la considera una foresta? Io sono stata lì!”
Il dottore incrociò lo sguardo con l’infermiera e sospirò.
Quello che disse mi sconvolge ancora, a ripensarci.
“Dottore, la paziente è sveglia.” Comunicò ad un uomo alto dietro di lei.
L’uomo, che indossava un camice abbottonato fino in cima e aveva degli occhiali spessi, venne verso di me e mi osservò. “Come si sente?” mi domandò.
“Bene, credo. Cosa mi è successo?”
“È svenuta a causa di forte shock, fortunatamente una signora ha chiamato un’ambulanza e siamo riusciti a prelevarla dalla strada prima che qualcuno la travolgesse con un’auto, visto che la signora non era in grado di muoverla da lì.”
“Quei volantini… parlavano di me. Cosa mi è successo? Io sono stata solo nella foresta per tre ore, come ho fatto a scomparire per tre giorni?” ero sempre più confusa e loro lo notarono.
L’infermiera mi posò una mano sul braccio destro e mi disse “Stia calma, ora le spiegheremo tutto.”
“Signora, lei è uscita martedì attorno alle dieci dall’ostello e si è recata prima in farmacia per acquistare dei sonniferi e poi dal fornaio per acquistare un panino. Mi sbaglio?” mi chiese il dottore.
“Non si sbaglia, dottore. È andata così.”
“Bene. Dopo questi due acquisti, lei è sparita dalla circolazione. Alla sera non è stata vista a cena e nessuno si è allertato, hanno pensato che avesse deciso di mangiare in paese. Però, quando non è rientrata per la notte, il proprietario ha avvisato le autorità. La polizia si è messa sulle sue tracce, ma non sono riusciti a capire dove potesse essere. È stato ipotizzato un omicidio o un rapimento e, fino al suo improvviso ritorno di questo pomeriggio, era l’ipotesi più accreditata.”
“Io sono stata nella foresta, niente di più. Ma è impossibile che ci si stata per tre giorni.”
“Quale foresta, signora? Non c’è nessuna foresta nei dintorni.”
“Come no? E quella oltre le casette gialle? Quella non la considera una foresta? Io sono stata lì!”
Il dottore incrociò lo sguardo con l’infermiera e sospirò.
Quello che disse mi sconvolge ancora, a ripensarci.
“Signora, quella foresta non esiste più da una ventina di
anni. Tutti qui la conoscono come Macchia Nera. Prima era rinomata per il suo
splendore, specialmente per il suo viale d’accesso fatto da cipressi maestosi e
per i colori vividi degli alberi. Attirò appassionati da ogni dove, tutti
volevano ammirare la bellezza di questa misteriosa foresta cresciuta a macchia
di leopardo in una zona così strana per quella specie di alberi. Di centinaia e
centinaia di persone che si addentrarono tra quelle fronde, solo una decina
riuscirono a tornare vivi. Vivi, ma non sani di mente. Una forza maligna
dominava quella che sembrava essere un’oasi di natura rigogliosa e attirava
persone innocenti tra le sue grinfie per nutrirsi e diventare sempre più
potente. Però, una notte, la foresta bruciò da cima a fondo. Fu causata da un’autocombustione,
perché nessuno che abitasse attorno ad essa avrebbe mai osato profanare quel
luogo per far esso del male, sapevano a che cosa sarebbero andati incontro.
Adesso c’è solo una vastità di terra nera, bruciata, corrotta e assolutamente
non fertile. Ogni cosa è bruciata, compresa la forza che la governava, o almeno
è quello che tutti speravano.” Sospirò.
“Lei è la prima persona, dopo vent’anni, a rimanere vittima
della foresta. A quanto pare, per quanto il fuoco abbia fatto il suo lavoro,
l’essere soprannaturale che possiede la Macchia Nera non è morto. Il male non
muore mai.”
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